venerdì 26 ottobre 2007

Turismo e mondi virtuali

Per coloro che frequentano o vivono nei mondi virtuali, ecco una riflessione su questo importante spazio della rete. Si tratta dell' introduzione scritta da Annunziata Berrino allo straordinario volume illustrato di Mario Gerosa ed Aurélien Pfeffer, dal titolo "Mondi Virtuali. Benvenuti nel futuro dell' umanità", edito da Castelvecchi lo scorso 2006. Buona lettura! - Sono graditi molti commenti -

“Il turismo nei mondi virtuali è praticato da chi vuole fuggire dalla realtà o semplicemente per divertirsi, usando internet, questo mezzo che ci è ormai così straordinariamente familiare”.
Sono in genere queste le prime risposte che diamo o che ci vengono in mente quando ci chiediamo chi sono i visitatori dei mondi virtuali. Sono risposte banali se vogliamo. Sono risposte che ci consentono di dare il via a una discussione disimpegnata in una serata con gli amici.
Nel linguaggio comune i mondi virtuali appaiono infatti altra cosa rispetto al mondo reale, e da questo
separati. Essendo collocati in internet, spesso facciamo confusione, e attribuiamo loro l’infinitezza e l’atemporalità della rete, concependoli così privi di serie cronologiche e di ordini geografici. D’altronde in internet l’eccesso di spazio finisce per annullare la dimensione spaziale, e l’eccesso di tempo è tale da annullare il prima e il poi, schiacciando gli eventi sulla simultaneità.
Eppure va fatto uno sforzo per separare i mondi
virtuali, e la loro specifica fisionomia, dal sistema globale della rete, che è lo strumento che li rende possibili.
E questa è forse la prima riflessione da fare: nonostante debbano la loro ontologia a internet, i mondi virtuali hanno confini ben delineati, hanno ingressi e accessi, hanno spazi esplorabili e tempi convenzionali.
Se li concepiamo co
sì, i mondi virtuali hanno dunque una dimensione storica. Essa è data loro proprio dal fatto di essere opere dell’uomo, generate come sono dalla creatività, governate da regole, soggette a tutti gli accidenti che sono propri del mondo reale, accompagnate dal successo o dall’insuccesso, sanciti dal minore o maggiore utilizzo che ne fanno i frequentatori.
Basti pensare a come e a quanto i mondi virtuali soggiacciano alla moda, e come essi stessi siano creatori di moda.
Potremmo dire allora che i mondi virtuali appaiono quasi come il frutto della necessità di ritagliare all’interno della rete dei punti di riferimento, di strutturare dei sistemi spazio-temporali definiti, sul modello del mondo reale, ma aventi ovviamente fisionomia virtuale. Il sistema internet, contenendo dentro di sé mondi virtuali, consente agli utenti di estendere i propri movimenti verso una sorta di vacuum, che tuttavia, come abbiamo visto, vuoto non è mai, essendo anzi allestito, abitato e frequentato.
Potremmo accostarli, per somiglianza di funzione, ai parchi tematici del mondo reale?
Potremmo dire che come il mondo reale ha i suoi parchi tematici, così il sistema internet possiede i suoi mondi virtuali?
E inoltre, con cosa metterli in rapporto: con il sistema internet che li rende possibili, o col mondo reale, al quale il linguaggio comune li oppone, definendoli virtuali?
Certamente il rapporto dei mondi virtuali con i parchi tematici è la questione più facile da esplorare: a somiglianza dei parchi, l’esistenza dei mondi virtuali appare motivata dalla necessità di avere una realtà altra, opposta, ludica, allucinata, speculare alla realtà quotidiana, nella quale i segni della temporalità e della spazialità – che comunque, come si è detto, nei mondi virtuali sono presenti – sono ridotti al minimo, al fine di fornire al frequentatore un più efficace effetto di straniamento.
Per questi aspetti ci viene di accostare i mondi virtuali non solo ai parchi tematici, ma anche a certi siti turistici, nei quali i riferimenti alle culture, i segni della loro collocazione geografica e del tempo corrente sono sistematicamente espunti.
Con tali e tante somiglianze, la definizione dei mondi virtuali risulta poco significativa e spesso inappropriata quando viene
elaborata sul binomio reale-virtuale, mentre risulta più complessa e pregnante se elaborata sul binomio realtà-quotidianità.
Così come accade nella pratica turistica, visitare i mondi virtuali rimanda all’idea del movimento, dell’allontanamento dalla realtà abituale, dell’assunzione di altra identità culturale e/o di genere, al ribaltamento di logiche e modelli temporali, culturali, sociali, fino all’alterazione dei valori economici.
In entrambi i casi –
nel turismo e nella frequentazione dei mondi virtuali – la realtà resta alle spalle, o, se si vuole, si evade dalla quotidianità. E in ogni caso il viaggiatore soggiace al grande, fondamentale tranello del turismo contemporaneo: evadere dalla prigione della quotidianità, promettendo tuttavia di rientrarvi.
Sarebbe comunque errato interpretare le due pratiche solo in termini di fuga dalla realtà e dalla quotidianità. Il bisogno di evasione non giustifica da solo l’esistenza dei mondi virtuali, così come da solo non giustifica il turismo.
Entrambe le pratiche danno piuttosto all’individuo occasioni altre di costruire la propria identità, di esibirla o di esprimerla, al di fuori degli ambienti naturale e sociale nei quali è collocato nel mondo reale. Questo contribuisce a spiegare anche l’alta frequentazione dei mondi virtuali da parte dei giovani.
La straordinaria ricchezza di offerta di situazioni e di esperienze, che nella realtà materica e sensoriale non sono possibili, o semplicemente che i rapporti sociali o le culture di appartenenza non consentono o non tollerano, fa sì che nel frequentare questi mondi ci si accontenti di una realtà che in quanto virtuale non riesce nemmeno a soddisfare tutti i sensi. Ma che certamente offre altre esperienze alle quali evidentemente è difficile rinunciare.
In tutta questa riflessione c’è di sorprendente che la realtà sensoriale e materica abbia una quota di invisibile, una sorta di iper-realtà, così come un testo scritto può rimandare a un ipertesto, che compare con un semplice
clic.
Di fatto una quota parte delle singole identità si muove, si costruisce, matura e agisce in un mondo che non è quello immediatamente visibile. Questo assunto è di una tale evidenza da sembrare una banalità.
D’altra parte, se pure ipotizzassimo l’assenza totale dei sentimenti, pure non sarebbe pensabile un uomo capace di limitarsi alla nuda e rigorosa percezione sensoriale del mondo esterno. Ciascuno di noi interpreta la realtà sensoriale combinandola al proprio immaginario, la cui vastità è propozionale alla nostra disposizione e alla nostra capacità di ritenere, di tenere da conto, e di estendere le nostre percezioni fisiche in un mondo altro, immaginario, infinitamente più ampio di quello reale e capace di contenere l’elaborazione infinita di tutte le nostre esperienze.
Com’è vero che non è concepibile l’assenza di fantasia nella natura umana, così non è possibile accostare i mondi virtuali, per quanto vasti, alla visione fantastica.
Cosa turba allora: la qualità di questo mondo altro? O piuttosto la consapevolezza di vivere in un mondo non interamente immediatamente evidente?
Anche in questo, le similitudini con la pratica turistica appaiono utili: il nostro amico imprenditore che viaggia per il mondo può sia essere un attore importante nel riequilibrio delle ricchezze del mondo, sia essere un esploratore attento e sensibile, sia essere un gaudente di paradisi tropicali, sia essere un consumatore di turismo sessuale.
Cosa sono dunque i mondi virtuali: fattori di ansia o piuttosto una straordinaria opportunità
? Il mondo virtuale alimenta l’immaginario più di quello reale? Ospita forse meglio l’elaborazione dell’esperienza sensoriale? O piuttosto funziona da inibitore dell’immaginario?
Ritengo che anche questo disagio sia solo apparente, generato com’è dalla stessa comunicazione virtuale. Da quando disponiamo di internet, noi, che per conoscere altre realtà potevamo solo viaggiare e raggiungerle, oggi crediamo di avere a portata di mano il mondo intero, ma contemporaneamente quello stesso mondo che ci viene dato sostanzialmente in immagine, non è visibile ed evidente nella nostra quotidianità. In altre parole non è certamente un paesaggio al tramonto, né una partita di calcio allo stadio. Provate a camminare tra le scrivanie di un ufficio, o tra i tavolini di un internet cafè e avrete la sensazione che dietro quel video acceso resti e si apra un mondo immenso, che in quel momento è privato dominio dell’utente di turno. E che una rigida convenzione non vi consente di esplorare.
Potremmo concludere che più internet permette una visibilità chiara e analitica del tutto (che ci legittima come mai prima d’ora ad usare la categoria di “tutto-eccesso”), più ci appare intollerabile pensare a un mondo reale dotato di un immenso ipermondo attivabile con un semplice clic.
Si può dunque dire tutto e nulla su reale, virtuale e immaginario, divertendosi anche a combinare il tutto con parchi tematici e turismo e restando così a livello di mera speculazione.
Il rapporto tra mondo virtuale e turismo va esplorato piuttosto all’interno del rapporto tra turismo e comunicazione, perché è sulla comunicazione che internet sta operando trasformazioni di ordine strutturale. Sappiamo che turismo e comunicazione sono due termini che non è nemmeno corretto ricondurre a un rapporto, perché in sostanza il turismo è comunicazione. Decostruire i termini di tale rapporto è solo funzionale all’analisi. Turismo è comunicazione culturale, turismo è mezzi di comunicazione-trasporto, turismo è mezzi di comunicazione-informazione.
Nella dimensione storica la società contemporanea ha elaborato un mutamento lineare, progressivo, a forte accelerazione, di tutte le forme di comunicazione e dunque del turismo.
Treni, navi, automobili, aerei sempre più veloci, ma anche scambi culturali smpre più codificati e strutturati, mezzi di comunicazione informativa e informatica sempre più potenti e vasti. Internet non rappresenta un ulteriore anello di una catena evolutiva, ma una maglia che aggancia con un sistema diverso.
Non sono dunque i mondi virtuali attivati in rete ad agire sulla fisionomia del turismo, ma gli effetti straordinari di questo nuovo sistema di comunicazione rappresentato dalla rete. Come ha ben detto Umberto Galimberti “La rivoluzione ha del copernicano, perchè il mondo non è più ciò che sta, ma a stare (seduto) è l’uomo, e il mondo gli gira attorno capovolgendo i termini con cui, dal giorno in cui è comparso sulla terra, l’uomo ha fatto esperienza” (U. Galimberti, Comunicazione. Noi, gli eremiti di massa”, «La Repubblica», 18 agosto 2005.
È intanto su questi eccezionali fraintendimenti che
quotidianamente crediamo ancora di elaborare nuove interpretazioni.

Annunziata Berrino





1 commento:

  1. Quanto appena letto mi spinge a fare delle considerazioni tese a strappare la genesi e l’ontologia dei mondi virtuali ad internet, che in quanto canale di comunicazione, li contiene, ma certo non è esso a renderli possibili: per questo c’è la mente umana che fantastica. Quindi I mondi virtuali sono non solo accostabili ma traggono la loro origine dalla visione fantastica.
    Inoltre concepisco un mondo virtuale come messaggio, oggetto di un atto comunicativo, che scaturisce dalla voglia di evadere il conosciuto insita nella natura umana.
    Dunque è dal fantastico, dal fantasticare, che traggono origine i mondi virtuali, che con aspetti diversi, con l’essenza del messaggio, emergono nell’esistenza dell’uomo, che usa lo strumento linguaggio, tramite canali di comunicazione differenti che diffondono tale messaggio.
    In principio il canale, unico, era la voce, l’oralità, che faceva emergere e poi diffondeva il virtuale (il messaggio); in seguito l’invenzione della scrittura , ha permesso una maggiore sedimentazione di ciò che comunicava: si è venuta così a creare una temporalità maggiormente definita nei suoi contorni, dotando quindi il virtuale di una dimensione storica visibile e afferrabile. Alla dimensione temporale del virtuale si affianca anche una dimensione spaziale ottenuta tramite il ricorso alla rappresentazione dell’immagine, un’immagine fissa è bene ricordarlo, ottenuta con la pittura o, in epoca moderna, con la macchina fotografica.
    Nel XX secolo però, l’invenzione di strumenti che permettono la trasmissione e la conservazione di immagini in movimento, ha reso Il ricevente del messaggio in questione, un ricevente passivo. Infatti la fantasia del ricevente non ha decodificato più il messaggio in modo originale, ma è diventato un consumatore consumato di ciò che gli viene dato in un’immagine in movimento, già prestabilita, che tende a confondere fra reale e ciò che reale non è. Il ricevente da coprotagonista di un atto comunicativo che ha per messaggio un mondo virtuale, diventa semplice comparsa di una recita con già assegnate le parti.
    Un bel colpo: abbiamo depotenziato la fantasia e con essa la capacità stessa di fantasticare. Insomma, ci siamo dati la zappa sui piedi.

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